Bakkano auspica la creazione di un’ecosistema dove le tradizionali distinzioni tra artist3, curatric3 e tecnich3 vengano rinegoziate, formando uno spazio ostile all’arroganza autoriale.
Bakkano si rivolge a chi accusa maggiormente l’ingessamento istituzionale proprio del mondo della cultura più canonico. Questo percorso nasce infatti da una collettiva sensazione di soffocamento causata da un panorama artistico cittadino rappresentato come creativo e dinamico ma che si rivela invece stantio, in quanto ormai completamente integrato entro logiche classiste votate al profitto, alla competizione e all’accaparramento individualista di capitale sociale.
Contro queste modalità, vogliamo progettare e rivendicare situazioni bakkaniane sopperendo ad una mancanza di spazi in città in cui darsi, praticare ed esprimersi attraverso l’autogestione.
Gli eventi culturali istituzionali, ammantati di estetica sottratta alle esperienze di autogestione a suon di sgomberi e normalizzazione sono strumento di consenso elettorale, dispositivi di valorizzazione turistica ed esclusione delle soggettività marginalizzate, a meno che queste soggettività non siano utili per spettacolarizzare processi di inclusione e di partecipazione fittizi, necessari all’immagine progressista così cara a questa amministrazione. Costosi concerti e diffusione di attività creative, fatte per intrattenere turisti in luoghi pacificati, gentrificati e presidiati dagli sbirri. Creativi pure loro, probabilmente. Di fatto, tali eventi riproducono stereotipi e logiche assistenzialiste e razziste, legittimando forme di gestione autoritaria dello spazio pubblico così come l’espulsione dell3 indesiderat3 dallo stesso.
Per segnare una rottura di fronte a questo scenario desolante, rivendichiamo una postura puerile e chiassosa, propria di chi non si trova a suo agio con il vuoto estetismo di molti spazi espositivi.
Di fronte a istituzioni che provano a fagocitare pratiche, luoghi e linguaggi, riproponendoli in maniera goffa e rendendo di fatto impossibile l’aggregazione necessaria per creare dal basso, ci chiediamo come ci possiamo riappropriare di una sottocultura emancipata da queste dinamiche.
Ponendoci in un’ottica di cura e intersezionale ci impegneremo a (de)costruire uno spazio senza barriere che vuole sradicare la visione capitalista, abilista, coloniale, cis etero patriarcale imposta dal sistema dominante. Vogliamo creare un luogo più sicuro per tutti i corpi che lo attraverseranno. L’esperienza collettiva è ramificata attraverso le singole soggettività dissidenti che si affiancano contribuendo ad un ecosistema alternativo.
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ENG:
Bakkano calls upon those who struggle with the institutional fossilisation of the cultural establishment. It draws from a shared sense of suffocation within the city’s art scene—a scene depicted as vibrant and creative, but actually stagnant, and entangled with the classist pursuit of profit, competition, and the accumulation of social capital.
Against this, we want to imagine and reclaim Bakkanian situations to create a space in which to give, practise and express ourselves through self-organisation.
Institutional cultural events are cloaked in an aesthetics taken from the experiences of self-organisation which have on the other hand been evicted or co-opted and institutionalised.
They are mere instruments of electoral consensus; devices for enhancing tourism; that exclude marginalised subjectivities, unless of course, if these subjectivities are useful for spectacularising fictitious processes of inclusion and participation, necessary for the progressive image so dear to this city’s administrators. Expensive concerts and creative events, made to entertain tourists in pacified, gentrified, and policed spaces. ‘Creatives’ as
well, probably. Yet, in truth, such events perpetuate stereotypes and propagate welfare and racist paradigms, legitimising authoritarian control over public spaces and the expulsion of the undesirable.
With a cacophony of play and noise, we aim to shatter their desolate scenario, uncomfortable as we are with the hollow aestheticism pervading many exhibition spaces.
Confronting institutions that seek to co-opt artistic practices, languages, and spaces, rendering grassroots initiatives impossible, we pose a critical question: How can we reclaim a subculture emancipated from these suffocating dynamics?
Embracing radical collective care and an intersectional lens, we will seek to (de)construct barriers and dismantle the capitalist, ableist, colonial, cis-heteronormative patriarchal paradigm enforced by the dominant system. We strive to create a safe space where all bodies can traverse freely—a space where the collective experience intertwines with individual dissident subjectivities, to create an alternative ecosystem.